Sebastian Vettel, quel pomeriggio di un giorno da cani a Montreal

Sebastian Vettel, quel pomeriggio di un giorno da cani a Montreal
In #laformuladeigrandi di alessandro fedullo


Il campione vuole l’auto migliore, poiché si è sempre detto che il pilota più veloce meriti, sempre e comunque, una monoposto vincente.
La stagione 2019 non parte nel migliore dei modi per Sebastian Vettel. Deve contrastare un fortissimo Lewis Hamilton che guida l’imbattibile Mercedes W10 e fronteggiare la scomoda ‘concorrenza’ interna dell’astro nascente Charles Leclerc, pronto a vendere cara la pelle ad ogni gara.
Ad aggravare la situazione ci si mette anche la nuova monoposto del cavallino, la SF90, capricciosa e difficile da domare, con una pericolosa tendenza al sovrasterzo.
Già dalle prime gare si percepisce il nervosismo di Sebastian, turbato perché capisce che il 2019 sarà ancora più complesso del 2018.

L’idea di un mondiale in rosso sembra allontanarsi sempre di più.
A Montreal, Gp del Canada, ‘Seb’ parte dalla pole position, ha la possibilità di cominciare a ribaltare le sorti di un mondiale che, fino a quel momento, sembra essere saldamente nelle mani di Hamilton.
Al via il tedesco scatta una meraviglia tenendo a bada le Mercedes, grazie anche alla super potenza della power unit Ferrari, dichiarata poi illegale a metà stagione.
Sul finale Vettel è costretto a rallentare per fare ‘fuel saving’, favorendo il ritorno di Lewis.

Finisce così, nella più bieca delle polemiche, quella che doveva essere una collaborazione vincente, trasformatasi, all’improvviso, a causa di un progetto sbagliato, nel peggiore degli incubi per il fuoriclasse francese.
Purtroppo, soprattutto nelle corse, non c’è sempre. L’inglese si attacca agli scarichi della Ferrari con la W10 che sembra uno squalo pronta ad azzannare la Rossa  per farne un solo boccone.
La tensione è tanta, ma Seb quella vittoria la vuole fortemente.
Al giro 48 in curva 3 la Ferrari scoda leggermente portando il campione tedesco a fare un lungo sull’erba. Rientra però in pista velocemente e, contestualmente, stringe un arrembante Hamilton al muretto.
Taglierà il traguardo per primo, ma questa ‘leggerezza’ gli costerà la retrocessione al secondo posto.
L’ira del driver della Ferrari è alle stelle, defraudato di una vittoria meritata sul campo da un pool di giudici di gara burocrati.

Parcheggiata la SF90  sotto al podio, la prima cosa che fa è spostare i numeri dei piazzamenti assegnati alle vetture: mette il cartellone del ‘2’ davanti alle Mercedes e la sagoma del numero ‘1’ di fronte alla Ferrari.
Un gesto plateale, figlio della rabbia di chi corre per vincere mettendoci cuore ed anima.
Per Sebastian Vettel quello fu un pomeriggio ‘amaro’, un ‘giorno da cani‘ funesto, preludio alla parabola discendente che, da lì a poco, la sua carriera avrebbe imboccato.
Comunque, anche nella sconfitta, dimostrò di avere un grande spessore umano non nascondendo le sue emozioni.
Un pilota, non automa, merce rara nella Formula moderna.
Uno degli ultimi esponenti di un ‘motorsport’ ormai estinto.


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