Lorenzo Bandini, un cuore racing

Non è nato al caldo Lorenzo Bandini e già da giovane deve sudarsi la pagnotta facendo il meccanico in un’officina di Milano.
Tra una 600, una Balilla e qualche ‘Topolino’, si accorge che quei marchingegni fatti di olio e grasso sono la sua vita.
Il giovane Lorenzo scopre, inoltre, la velocità e l’incommensurabile senso di libertà che essa sa offrire e così, spinto anche dal suocero che vede in lui le stimmate del campione, comincia a correre con una 1100 Fiat da lui preparata.
Durante la settimana la usa come ‘Daily car’, mentre il sabato e la domenica cambia il motore ed è pronto a sfidare auto ben più costose in cronoscalate ed altri eventi che cominciano a dargli un po’ di fama.

Dopo le gare con la 1100, arrivano i successi in Formula Junior e l’opportunità offertagli da Ferrari.
Purtroppo il periodo trascorso a Maranello sarà fatto di luci e ombre, con ottime performance alternate a gare opache.
La pressione sul giovane pilota emiliano è tanta e, purtroppo, quando si guida una monoposto, bisogna essere lucidi perché quelle auto non perdonano.
Nel 1964 contribuisce in maniera sostanziale alla vittoria mondiale del compagno Surtees, impedendo a Graham Hill di superarlo.

Per la stampa e per il Drake è però sempre troppo poco.
Nonostante tutto Bandini continua a cimentarsi anche con le auto a ruote coperte e, in coppia con Amon, vince la 24 ore di Daytona del 1967.
A Montecarlo, quello stesso anno, il tragico epilogo: un incidente mortale, dovuto ad un errore di ‘foga’  fatto per recuperare sui piloti che lo precedevano.
Affrontare la chicane del porto ad una velocità elevata fu una leggerezza che gli costò la vita.
Un ‘Cuore racing’, che smise di pulsare per dimostrare al mondo che non era secondo a nessuno.
Un prezzo caro, che non valeva la pena pagare.

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