Martin Donnelly, all’inferno e ritorno

Martin Donnelly, all’inferno e ritorno
In #laformuladeigrandi di alessandro fedullo

Martin Donnelly nasce a Belfast che non è propriamente Montecarlo.
Le chance in quel depresso angolo d’Irlanda sono, in generale, poche, figuriamoci se vuoi fare il pilota.
Donnelly ha però velocità e carattere e nel 1988 sfiora il titolo nel combattuto campionato di Formula 3000 britannico.
Nel 1989 debutta in Formula 1 al volante della Arrows che è in lizza, solitamente, per gli ultimi posti dello schieramento.
Nel 1990 arriva la grande occasione al volante della Lotus.

Il team orfano di Chapman naviga in un crisi tecnica ed economica senza precedenti, ma comunque al suo interno si lavora alacremente per tornare al vertice.
Si spera, inoltre, che gli Americani della GM, che hanno acquistato la divisione auto, comincino ad investire anche nella storica squadra di F1.
Con queste premesse il nordirlandese si presenta al primo appuntamento stagionale, pronto a vendere cara la pelle nonostante una vettura non molto prestazionale.
Jerez de la Frontera, Gp di Spagna: il driver della Lotus in prova spinge come un forsennato, ma la macchina non va.
Ci da dentro lo stesso e, ad un certo punto, la ‘gialla’ Lotus parte per la tangente andando ad impattare  contro le barriere a 250 km/h.
Uno schianto infernale, con il pilota sbalzato fuori dall’abitacolo ormai diviso in due parti.
I meccanici  pensano che sia finita e sono pronti a piangere un altro cavaliere del rischio deceduto sotto le insegne ‘giallo-verdi’.
Fortunatamente, però, non siamo negli anni Settanta e lo scaltro medico della F1, Sid Watkins, interviene subito mantenendo in vita il pilota con ossigeno e gesti dettati dall’esperienza di chi ne ha viste tante.

Sid sa che per il ragazzo l’unica soluzione è portarlo d’urgenza in Inghilterra nella sua clinica dove, con macchinari all’avanguardia, può tentare l’impossibile.
Dopo un passaggio all’ospedale di Siviglia viene trasportato nel Regno Unito nella clinica di Watkins, dove,  dopo due arresti cardiaci e sei settimane di coma, ritorna in vita.
Un miracolo.
Dovrà dire addio all’automobilismo, ma può essere uno dei pochi ad essere sopravvissuto ad uno degli incidenti più spaventosi della Formula 1.
Un viaggio all’inferno con ritorno.

Martin Donnelly ha recentemente dichiarato di non ricordare nulla di quel botto terrificante.
Facile credergli, schiantarsi a quella velocità è come  essere, per assurdo, sull’onda di deflagrazione di un ordigno atomico.
Un orrore averlo vissuto, ma un privilegio poterlo raccontare.
Imprevisti del mestiere quando spingi a tavoletta l’acceleratore di mezzi che, se non avessero gli alettoni, decollerebbero.


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