Steve McQueen, l’attore amante delle corse
Si dice che una vita senza emozioni sia ’piatta’ e che l’assenza totale di brividi forti porti ad un invecchiamento precoce di cuore ed anima.
Senza dubbio questo doveva essere il mantra di Steve McQueen, attore di professione, ma pilota per passione.
Con i primi soldi guadagnati recitando ad Hollywood compra una Porsche 356 Speedster.
L’auto non rimase a lungo ‘di serie’ e fu preparata per le combattute competizioni della categoria ‘SCCA’: gare in cui auto sportive preparate in maniera molto semplice, quasi ‘stock’, si confrontavano sulle piste di tutti gli States.
Inutile dire che la Porsche di Steve andava fortissimo e che divenne immediatamente l’incubo sia delle auto ufficiali di ‘Porsche Usa’ sia dei Team specializzati che schieravano le inglesi AC, MG e Triumph.
Alla ‘star’ non bastavano, ovviamente, solo le gare ‘SCCA’. Troppo facile, auto troppo lente per il suo desiderio di velocità.
Vai così di Motocross e di competizioni clandestine, a cui prende parte sotto il falso nome di Harvey Moshman.
Non poteva usare la sua vera identità, pena un disastro legale con i produttori cinematografici che non gradivano che il loro amato pupillo, beniamino del pubblico, rischiasse di ammazzarsi ogni qualvolta fosse fuori dal set.
Durante le riprese di ‘Bullit’ Steve McQueen esagera, volendo girare in persona il ‘car chase’ tra le vie di S. Francisco.
Una sequenza spettacolare, entrata di diritto nella storia del cinema d’azione.
All’inizio degli anni Settanta l’americano comincia a fare sul serio, grazie all’appoggio di Porsche ed all’amico e pilota di F1 Peter Revson.
Riescono ad arrivare secondi assoluti alla 12 ore di Sebring nel 1970, impresa che è preludio ad altre memorabili battaglie sempre al volante della ‘cavallina di Stoccarda’.
Il suo testamento cinematografico è emblema del suo amore per le corse: il film documentario sulla 24 ore di Le Mans in cui mette tutta la sua passione.
Si dice che la sua salute peggiorò a causa di quella pellicola, aggravando la patologia tumorale che lo perseguitava dopo essere stato molto a contatto con l’amianto durante il servizio militare nei Marines.
Letali, a detta degli esperti, le esalazioni di benzina delle auto da corsa usate durante le riprese.
Morì giovane, come ogni eroe che si rispetti.
Un’esistenza spericolata, ma breve, il più bel film ‘reale’ che si possa desiderare.
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