Pedro Rodriguez e l’anello
Pedro Rodriguez è uno dei piloti più forti ed eclettici nell’ambito del motorsport di fine anni Sessanta.
Riesce ad imporsi con qualsiasi mezzo, dalle monoposto di Formula 1 alle vetture sport.
Nel 1963 vince a Daytona e nel 1968, in coppia con l’italo-belga Lucien Bianchi, trionfa a Le Mans con la Ford GT40.
Le sue abilità di guida si esaltano se l’asfalto è umido e Pedro è uno di quelli che durante i week end di gara fa la ‘danza della pioggia’, sicuro che se il cielo sarà carico d’ acqua potrà primeggiare su tutti.
Rodriguez era molto legato al fratello Ricardo, anch’egli driver di tutto rispetto, dal quale ha ereditato un prezioso anello d’oro che è anche il suo portafortuna in gara.
Con quell’ ‘amuleto’ nella tuta, il messicano si sente sicuro ed invincibile.
Nel 1971 il prezioso oggetto viene smarrito ed il pilota dichiarerà apertamente di sentirsi ‘turbato e poco sicuro al volante’.
Al Norisring, proprio quell’anno, perde la vita al volante di una Ferrari 512M.
Ancora oggi non si sa se l’incidente sia dipeso da un suo errore (era al comando ed all’improvviso perse il controllo) oppure da un cedimento meccanico della vettura.
Una cosa è certa, uno come Rodriguez raramente sbagliava.
Allora l’anello era veramente ‘apotropaico’? Nemmeno.
La risposta è un’altra ed è da ricercarsi semplicemente nella pericolosità delle corse di quel periodo.
Quando sai che parti il venerdì per una gara e che probabilmente il lunedì potresti anche non essere lì a raccontarlo, anche un anello di un fratello defunto può darti il coraggio necessario per sfidare la morte ad ogni curva.
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