Fiat Argenta, ammiraglia di transizione
Si dice che in Italia gli anni Settanta finiscano a metà degli Ottanta: un paradosso che trova il suo fondamento nel progressivo abbattimento, tra il 1983 ed il 1988, di tutto ciò che aveva funestato il bel paese negli anni di piombo.
Gradualmente assistiamo alla fine dell’austerity proprio dalla prima metà di quello che viene definito il decennio edonistico per eccellenza.
Anche i costumi cambiano, con l’impegno politico e sociale messo da parte in favore di un’ottica sempre più improntata al consumismo ed al disimpegno.
L’inizio degli anni dei ‘visoni’ e delle televendite però non è così brillante, restituendoci la fotografia di una nazione sconvolta da gravi conflitti interni.
In questo contesto nasce la ‘Fiat Argenta’, che, senza volerlo, rappresenta bene quel periodo buio.
A Torino sono impegnati per il lancio della ‘Uno’ mentre, sulla base del ‘Pianale Tipo 4’, è allo studio una nuova famiglia di ammiraglie destinate ai brand Fiat e Lancia e, in seguito, Alfa Romeo.
Queste nuove auto, però, non vedranno la luce prima del 1984 e serve in gamma qualcosa che sostituisca la vetusta 132 e che non costi, in termini di progettazione e sviluppo, come il Titanic.
La soluzione è semplice: si prende la ‘132’, le si cambiano i gruppi ottici anteriori e posteriori, la si dota di fascioni che percorrono tutta la carrozzeria, dentro i sedili vengono rivestiti di un accogliente velluto a coste ed ecco pronta la Fiat Argenta (in onore della giovane figlia di Maria Sole Agnelli).
Questo profondo restyling produce un mezzo dal carattere anonimo, anacronistico nella dinamica di guida (ponte rigido e trazione posteriore), estremamente problematica sul bagnato, con consumi degni di una Porsche 911.
I propulsori disponibili sono il 1.6 da 98 cv ed il 2.0, disponibile anche con iniezione elettronica e 122 cv.
Un disastro, che fieramente viene svelato al pubblico nel 1981.
L’unico modo per rendere la Fiat Argenta gradevole è vestirla del classico argento metallizzato tanto caro agli Agnelli, che le dona un ’appeal’ particolare esaltando, in qualche modo, l’idea di eleganza discreta tipicamente sabauda che i progettisti volevano ricreare (richiamandosi ai fasti della 130, che dava il meglio di sé proprio in ‘Argento’) con questa nuova berlina.
Una mano di vernice non poteva però salvare completamente una macchina nata vecchia, che poteva conquistare solo il pubblico più tradizionalista convertitosi dagli scudi ‘savoiardi’ a quelli ‘crociati’ nel tempo di un battito di ciglia.
Con la seconda serie del 1983 arriva una carreggiata anteriore più larga che migliora finalmente il comportamento stradale trasformando l’Argenta da autobus in auto, ed un’interessante versione dotata di compressore volumetrico: la ‘SX’ (VX per i mercati esteri), lanciata nel 1984.
La ‘SX’, dotata di un motore potente (135 cv e 200 nm di coppia) e di una tenuta di strada migliorata, ha quel carattere che al debutto mancava alla ‘berlinona’ piemontese.
Con uno zero-cento in 10 secondi scarsi ed un retrotreno pronto a sovrasterzare, la ‘SX’ non era solo un’auto per le flotte parlamentari, ma un veicolo che, all’occorrenza, poteva essere usato anche per una guida fuori dalle righe.
Il canto del cigno di un modello che, nel 1985, saluterà definitivamente i listini, sostituito dalla Croma, pronta, finalmente, a portarci negli anni ‘80 che tutti conosciamo e che, forse, un po’ ci mancano.
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