Rover SD1, Poor ‘s man Daytona

Rover SD1, Poor ‘s man Daytona
In #Galdierirentracconta di alessandro fedullo

Gli anni Settanta rappresentano un periodo  di grave crisi per l’industria automobilistica britannica, incapace di proporre modelli sensazionali come quelli usciti nel decennio precedente quali la ‘Mini’, la ‘MGB’ e le Jaguar ‘ E- Type’ ed ‘xj6’.
Esistono però delle eccezioni, auto nate da una precisa volontà innovatrice tesa a creare qualcosa di bello ed iconico.
Rover, ormai inglobata nella galassia British Leyland, è alla ricerca di una nuova  identità e vuole aggiungere un nuovo ‘tassello’ vincente alla sua ‘car line’, dopo il successo della ‘Range- Rover’ commercializzata sotto le insegne ‘Land –Rover’.

La berlina ‘P6’ è ormai datata, figlia di uno stile barocco ed ‘old England’ che i vertici del brand, con la nave vichinga, vogliono completamente stravolgere.
Serve un design ‘futuristico’ che anticipi la forma delle ‘cose che verranno’ e David Bache, con la maestria che solo i progettisti più talentuosi hanno, tira fuori dal cilindro una ‘Silhouette’ dalla forma ‘Fastback’ che richiama nel frontale la bellissima Ferrari Daytona.
La nuova vettura, denominata Rover SD1 (acronimo di Special Division product number one, branca del gruppo BL con focus sul prodotto ‘premium’ che raggruppava, oltre a Rover e Land –Rover, anche Jaguar e Triumph), debutta nel 1976 con i classici motori V8 condivisi anche con la Range Rover, sospensioni anteriori con schema Macpherson di derivazione Triumph 2500, assale posteriore con ponte rigido, impianto frenante di tipo misto.
Al design ‘avveniristico’ fa, quindi, da contraltare una meccanica molto tradizionale, se pensiamo che la P6 già negli anni Sessanta aveva al retrotreno un raffinato schema De-Dion.

Tutto, ovviamente, per ridurre i costi ed investire le poche risorse disponibili per venire incontro ai gusti del pubblico che, già a metà anni ‘70, cominciava a provare maggiore interesse per elementi di estetica  ‘ricercata’ piuttosto che per una dinamica di guida raffinata.
Dopo la ‘V8’ si aggiungeranno le più tranquille sei cilindri 2300 e 2600, ma le vendite, nonostante un buon avvio,  già nel 1979 erano cominciate a crollare a causa di  gravi problemi di affidabilità: elettronica che va in tilt dopo 1000 km, carrozzerie che fanno la ruggine, cambi e differenziali che perdono olio. La ‘Rover SD1’  è una sciagura per i proprietari ed una munifica fonte di introiti per meccanici e ricambisti.
Nel 1982 si cambia musica grazie ad un profondo restyling che porterà in dote paraurti più avvolgenti, nuovi cerchi in lega, sospensioni irrigidite e, soprattutto, una maggiore affidabilità di tutte le componenti meccaniche ed elettriche.
Adesso la Rover SD1, oltre ad essere bella, non va ogni dieci giorni in officina e, a dare ulteriore ‘allure’ al modello,  ci penserà la versione ‘ Vitesse’ dotata del potente motore ad 8 cilindri con iniezione elettronica e ben 192 cv.

Con questo ‘layout’ la berlinona ‘Rover’ perde ogni Aplomb britannico, diventando una seriale divoratrice di Mercedes  e Bmw.
Grazie alla migliore penetrazione aerodinamica, non c’era sfida sulle ‘autobahn’ in termini di velocità massima con nessuna tedesca di pari cilindrata.
Un ‘Vitesse’ riesce ad aggiudicarsi nel 1986 il combattuto campionato ‘DTM’, confermandosi come la  ‘muscle car  in doppiopetto‘ definitiva.
La ‘SD1’ è ora davvero la ‘Poor’ s man Daytona’ che doveva essere alle origini, un mezzo comodo e veloce  che poteva essere, all’occorrenza, guidato in maniera molto spregiudicata.
Uscirà di scena nel 1987, sostituita dalla ‘800’ progettata in ‘Joint- Venture’ con Honda.
Affascinante, piena di contrasti come solo le ‘vere inglesi’ sanno essere, rappresenta l’ultima vettura concepita interamente dalla Rover, un importante ‘pezzo di storia’ dell’Inghilterra a quattroruote.


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