Austin Metro, storia di un successo incompiuto

Austin Metro, storia di un successo incompiuto
In #Galdierirentracconta di Galdieri


Alla fine degli anni Settanta sulla scena europea si afferma un nuovo segmento di autovetture detto, in maniera molto elementare, Supermini.
Le auto appartenenti a questa nuova nicchia di mercato hanno caratteristiche ibride, unendo in maniera molto efficace il comfort delle berline e la praticità e gli spazi ridotti delle citycar.

Ogni costruttore presenta la sua nuova compatta.
Ford ha la ‘Fiesta’ che diventa un best seller in Germania e Regno Unito, Fiat la 127, una delle auto più amate dagli Italiani e Volkswagen  la ‘Polo’, che è una Golf in miniatura.
In Francia la Renault sta dominando invece il mercato con la ‘5’.
Gli inglesi della British Leyland non hanno modelli in questa fascia e la ‘classica’ Mini, per quanto ancora apprezzata dal mercato, non può competere con queste nuove ed efficienti automobili.
Gli studi sulla nuova utilitaria partono già dai primi anni Settanta, ma si dovrà attendere il 1980 per vedere la versione definitiva.

La gestazione di quella che si sarebbe chiamata ‘Metro’ non fu semplice e gran parte degli sforzi e degli investimenti furono indirizzati ad ammodernare l’impianto di Longbridge che avrebbe dovuto costruirla.
La British Leyland, con la ‘Metro’, si gioca il futuro e le ottime vendite iniziali risollevano il colosso dalla profonda crisi che stava attraversando.
Dotata di una linea molto gradevole e della meccanica della Mini, la ‘Metro’ fu subito un successo in tutto il Regno Unito.
Agli ottimi risultati di vendita contribuì anche una campagna pubblicitaria che invitava al patriottismo ed al ‘Buy British’.

Lo slogan recitava chiaro: ‘Metro, a British car to beat the World’, con un’emblematica immagine di una schiera di ‘Metro’ che cacciavano dalla scogliera della Manica un esercito di vetture della concorrenza.
La pubblicità è sintomatica di un atteggiamento tutto ‘inglese’, che vede con diffidenza tutto ciò che viene dal continente.
Purtroppo la piccola di Longbridge, dopo gli ottimi risultati di vendita dei primi anni, a metà Ottanta,  escludendo il mercato italiano e francese dove era apprezzata dagli utenti più snob, era già nel dimenticatoio.
I motivi dello scarso gradimento degli automobilisti erano legati ad un meccanica considerata arcaica (cambio a 4 marce e pessima insonorizzazione) ed alla linea che, per quanto riuscita, era ormai, se paragonata alla Fiat Uno o all’Autobianchi Y10, troppo legata agli anni Settanta, con i suoi spigoli e le ruote di piccolo diametro.

Distrutta anche in patria dalla concorrenza della Fiesta, uscì di produzione nel 1997  dopo un profondo restyling che ne cambiò il nome in ‘Rover 100’.
La Mini, invece, che avrebbe dovuto  sostituire, continuò indisturbata la sua carriera fino al 2000, pronta a reincarnarsi nuovamente, nel 2001, in un modello completamente nuovo creato sotto l’egida di Bmw.


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